Trascrizione audio
Da dove veniamo e dove andremo? Una EVA per le risposte Sono passati 51 anni dalla prima passeggiata spaziale. Il 18 marzo del 1965 il cosmonauta Aleksej Archipovič Leonov uscì per la prima volta tra le stelle. Da allora il momento dell'attività extraveicolare (EVA)- così, tecnicamente, si chiama-, ha sempre avuto un fascino particolare sia per noi, spettatori da Terra, sia per gli astronauti chiamati a svolgere questo compito delicato e importante. Durante la costruzione della Stazione spaziale internazionale, le attività extraveicolari rivestirono un ruolo fondamentale, perché servirono per assemblare interi pezzi del laboratorio orbitante più grande mai costruito. Era il 1998 e da allora le escursioni fuori dalla navicella si sono susseguite incessanti. La prima che ha visto protagonista un italiano è stata quella di Luca Parmitano, il 9 luglio del 2013. E fu sempre Parmitano ad essere protagonista di uno dei momenti più drammatici degli ultimi anni. Il suo casco si riempì d'acqua e la tragedia fu evitata anche e soprattutto grazie al sangue freddo e alla preparazione di Astro_Luca, come specificato anche nella dettagliata relazione della Nasa sull'accaduto. Ma a cosa servono, concretamente, le attività extraveicolari? Uno dei compiti dell'astronauta che lascia la Stazione per avventurarsi nello Spazio è quello di provvedere alla manutenzione dei vari moduli che compongono l''astronave'. Ma un altro aspetto per cui le EVA sono indispensabili è quello degli esperimenti. E' proprio questo il caso della ultima che ha avuto luogo sulla ISS. I protagonisti sono stati Yuri Malenchenko e Sergei Volkov, i quali si sono dedicati a recuperare alcuni elementi del progetto Expose-R2 dell'Esa. Si tratta di una serie di moduli che contengono 46 specie diverse di microrganismi e oltre 150 composti organici, di cui viene studiato il comportamento in un ambiente non protetto e ostile come quello spaziale. Si tratta di forme di vita costrette a confrontarsi con le radiazioni, con l'assenza di gravità, con gli imponenti sbalzi di temperatura e con l'energia del Sole che li investe in pieno. L'esperimento ha lo scopo di capire che conseguenze tutto ciò abbia provocato, dopo un periodo di 18 mesi, su queste forme viventi. I risultati ci interessano, e parecchio. E' proprio da questi, infatti, che si partirà per lo studio dei possibili viaggi galattici per gli umani. Bisogna capire cosa succede al corpo umano se esposto per un lungo periodo alle asperità spaziali. E si parte proprio da qui, dai microrganismi. Bisogna capire in che condizioni siano dopo aver fatto per 8500 volte il giro del mondo. Ma non c'è solo questo. L'esperimento targato Esa è ritenuto utile anche per scoprire alcuni principi di vita aliena. Resta infatti ancora da capire come quei mattoncini essenziali per la vita siano arrivati sul nostro pianeta. Potrebbero essere atterrati grazie a dei meteoriti dopo un viaggio lungo milioni di anni, ad esempio. E visto che molte componenti organiche non sono stabili, ma mutano nel corso del tempo, lo studio di queste componenti nel modulo posto fuori dalla Iss può fornirci qualche traccia in più per scoprire da dove veniamo. Per esempio si occupa di questo l'esperimento Photochemistry on the Space Station che cerca di svelare quali elementi chimici presenti sulla Terra possano provenire dallo Spazio. Se quelli recuperati dai due cosmonauti durante l'attività extraveicolare del 3 febbraio, durata quasi sei ore, fossero intatti e fossero quindi sopravvissuti alle difficoltà dello Spazio, significherebbe che quegli stessi elementi potrebbero essere arrivati proprio da lì e non essersi formati direttamente a Terra. Le risposte potremmo averle a breve. Sono 30 gli scienziati a lavoro sul progetto Expose-R2 dal 2009, che analizzeranno i campioni in 11 laboratori dislocati tra Italia, Francia, Olanda e Stati Uniti. Forse da lì arriverà il responso sulla nostra origine, e anche sulla possibilità di un futuro su un pianeta diverso dalla Terra.